Quanto è moderno il nostro comunismo!

Pubblicato il da CLASSE OPERAIA

C'è qualcuno che pensa di poter semplicemente affermare che l'esistenza di un partito comunista, e dei comunisti in generale, sia un mero modo di interpretazione della realtà e che tutto si fermi a questo incolore presupposto del tutto teorico e per niente pratico. Anche chi un tempo era e si definiva comunista, oggi si smarca precipitosamente per ricrearsi una verginità politica e culturale che abbracci quella che troppe volte viene definita "sinistra moderna" e che rischia di ricadere invece nell'errore di un tempo: abbandonare una via lunga e per niente facile da percorrere per ottenere invece risultati giudicati molto più concreti, tangibili e, quindi, dare avvio a delle riforme di struttura discutendo in seguito su come iniziare a superare l'attuale modo di produzione capitalistico.

In fondo, siamo ancora una volta davanti alla proposta politica socialdemocratica neanche poi molto mascherata. E siamo ancora una volta davanti al dilemma politico e organizzativo che ci investe tutti, noi comunisti. Le forme della gestione di una complessità di azioni sociali che, quindi, vanno ad essere un elemento di intromissione nella vita delle persone, per cambiare i rapporti di forza, la cultura dominante e quanto di altro impedisce l'unità dei lavoratori e delle lavoratrici e di tutti coloro che sono in perenne stato di indigenza, queste forme di gestione sono il punto focale su cui dovremmo concentrare la nostra attenzione. Da esse dipende veramente il futuro delle vecchie forme di mutualismo, di interscambio del sostegno tra poveri e meno poveri, tra occupati precari e disoccupati, tra stranieri e italiani, tra migranti e stanziali, tra uomini e donne, etero e omosessuali, grandi e piccoli, nord e sud dell'Italia e del mondo.
Ogni differenza può scomparire davanti alla comune lotta per il lavoro, contro il dominio della finanza e del mercato. Ogni patria, un tempo si diceva, non avrà più i suoi confini se i proletari sapranno darsi una organizzazione che renda loro del tutto evidente come le guerre siano fertile terreno di conquista per i soli signori delle banche, delle industrie di armi e, oggi, anche del petrolio e del gas.
Dunque, alla base della critica verso la necessità dell'essere oggi comunisti, sta ancora il punto dell'organizzazione politica e sociale del mondo del lavoro, della scuola e dei tanti mondi separati da quello "normale" che vivono nell'abbandono, negli angoli dei pregiudizi e nel bistrattamento popolare, eteroindotto da centinaia di subliminalissimi messaggi che provengono da apparentemente innocenti programmi televisivi, da innocui fogli di giornale, da qualche "click" sul mouse di un computer.
Siamo, pertanto, o non siamo ancora una forza che può mettere in discussione la naturalità presunta del capitalismo, il suo dominio globale? Siamo e possiamo essere nuovamente una forza che propone per davvero non solo una visione, una apparizione della mente, ma una tracciata prospettiva di futuro per chi oggi sopravvive e domani non sa cosa potrà fare?
Se esiste ancora un motivo per ritrovarsi e per riprendere a lottare da comunisti è proprio quello più semplice, forse banale: il comunismo. Un parolone, un termine lontano dalla realtà, un qualcosa che è persino lontano dalle critiche che gli venivano mosse rispetto alle esperienze del socialismo reale e al fallimento delle stesse dopo il crollo dell'Unione Sovietica.
Eppure c'è chi, in tempi non vicini, si è permesso di affermare che i lavoratori non esistevano più come "classe operaia", che si andava verso una totalizzazione della mecanizzazione del lavoro e che l'uomo era destinato ad altre mansioni, ma non più sarebbe servito alla catena di montaggio.
Invece la catena esiste. Esiste e continua il suo instancabile lavoro di alienazione. E lo si verifica ogni volta che una industria trasferisce un apparato produttivo laddove la forza del lavoro costa meno, dove non esiste la minima traccia di un diritto sindacale e dove tutto è assimilabile ad una moderna formazione dello schiavismo all'interno di un liberismo che non può avere pietà per i diritti e per gli spostamenti delle persone, mentre continua ad avere la più ampia disponibilità per gli spostamenti merceologici e l'integrazione veramente "culturale" delle merci laddove queste non avevano ancora avuto la "fortuna" di arrivare e di conquistare la fittizia necessità di acquisto di ogni cosa, anche del tutto inutile al proseguimento della vita quotidiana.
C'è pertanto, anche se la maggior parte delle persone fa finta di non saperlo o ha rimosso questo pensiero, bisogno dei comunisti e di quella "rifondazione" del comunismo che, non da sola, può ricominciare ad essere perno della socialità di un programma politico, della sua trasformazione in mescolamento con le persone, in mezzo ai loro più piccoli e grandi bisogni, nel guado dei tanti qualunquismi che fanno dimenticare che solo l'uguaglianza marcia a pari passo con la libertà e che la compenetrazione di queste due apparenti cariatidi è indissolubile se si vuole davvero cambiare, se si vuole lasciare dietro alle nostre spalle non il capitalismo, ma prima ancora il suo ricordo come il peggiore dei mondi possibili sino ad oggi esistiti.

MARCO SFERINI

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